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Ruminanti e Global Warming: la ‘bufala’ del secolo

di Luigi Zicarelli

La lettura dell’articolo “I colossi della carne inquinano più della Germania e persino di Big Oil” di Paola Rosa Adragna (La Repubblica, 09/09/21) mi ha spinto a proporre questo contributo per la rubrica “Un Mondo di Bufale”.

L’affermazione che appare nel titolo evidentemente non considera che il riscaldamento globale è iniziato con l’era industriale. Precedentemente, se solo vogliamo considerare la concentrazione di metano (CH4) in atmosfera, questa era di 750 ppb mentre oggi è di 1.870 ppb. Fino al 1870, nelle grandi pianure dell’Ovest degli USA esistevano circa 60 milioni di bisonti che, consumando solo foraggi, producevano verosimilmente una quantità di CH4 superiore a quella che producono attualmente i 95 milioni di bovini allevati con diete caratterizzate da minore presenza di foraggi. L’importazione di razze bovine con attitudine alla produzione di carne (Angus ed Hereford) iniziò solo dopo il 1870, quando i bisonti furono eliminati per affamare i Nativi d’A- merica, già decimati dal vaiolo e dall’influenza.

Da un mio contributo del 2018, emerge che tra il 1979 e il 2014 l’incremento percentuale confrontato con i dati del 1979 (dati IPCC) dei ruminanti standardizzati (1 bovino/bufalo/cammello equivale a 8 ovini/caprini o a 5 camelidi) fino al 2003 è sovrapponibile all’incremento percentuale del CH4 in atmosfera. La quantità di CH4 prodotta da un ruminante standardizzato diminuisce dopo il 2002, nonostante la fisiologia digestiva degli stessi non si sia modificata. È evidente che il CH4 in atmosfera riconosce altre fonti, non ancora identificate. Il notevole aumento di CH4 osservato nell’ultimo decennio riconosce diverse cause, anche se non tutti gli studiosi sono concordi. Una recente ricerca indica negli shale-gas (gas estratto da argille) e shale-oil (idrocarburi contenuti in rocce scistose) dei giacimenti attivi di Stati Uniti e Canada, le origini di queste nuove emissioni.

Del resto, confrontando la produzio- ne di CH4 e il numero in UBA (Unità Bestiame Adulto) di ruminanti allevati nei primi nove paesi produttori di CH4 emerge che non esiste relazione tra i due parametri (tabella 1): chi alleva più ruminanti non produce più CH4 (es. la Cina alleva il maggior numero di ruminanti ed è quarto per produzione di CH4, l’Australia è terza per numero di ruminanti allevati e settimo per produzione di CH4).Un’altra fonte di CH4 deriva dall’estrazione del petrolio e di carbon fossile dal sottosuolo, fenomeno aumentato progressivamente a partire dalla seconda metà del 1700, epoca in cui il materiale organico di origine vegetale e ani- male, stoccato nel sottosuolo per millenni, viene estratto per scopi energetici. In particolare, la loro combustione sprigiona enor- mi quantità di CO2 in atmosfera, favorendo il riscaldamento globale e lo scioglimento del permafrost, al di sotto del quale sono compressi miliardi di tonnellate di CH4 che di continuo vengono immessi in atmosfera all’aumentare del riscaldamento globale.

Si ignora, inoltre, che sono oltre 200 i siti dislocati in sette Paesi dell’Unione Europea (Austria, Repubblica Ceca, Germa- nia, Ungheria, Italia, Polonia, Romania) analizzati da Clean Air Task Force, che fanno registrare perdite di CH4 filmate con una telecamera termica a infrarossi. Immagini che non lasciano dubbi sul fenomeno: lungo l’intera filiera produttiva e di trasporto-stoccaggio degli idrocarburi si verificano emissioni o sfiati di rilevanti concentrazioni di CH4 in atmosfe- ra.
Nonostante queste evidenze, i media continuano a ritenere i ruminanti una delle principali fonti di CH4 in atmosfera, for- se perché ignorano la fisiologia ruminale!

Infatti, i calcoli effettuati da vari ricercatori non considerano due aspetti fonda- mentali:
i ruminanti utilizzano alimenti derivanti dal mondo vegetale che sottraggono CO2 dall'atmosfera; tale quantità andrebbe debitamente sottratta dal CH4 trasformato in CO2 equivalente; la CO2 prodotta da carbon fossile e pe- trolio dura più a lungo (circa 1000 anni) nell’atmosfera rispetto al CH4 (circa 10 anni); occorre sottolineare che quella prodotta da fonti industriali non si ricicla come accade nel mondo animale e vege- tale, ma si aggiunge a quella già presente in atmosfera tanto che la letteratura defi- nisce questi ‘gas stock’ perché si sommano (Zicarelli e De Vivo, Translational Animal Science, 2021).

Il metano proveniente dall’allevamento dei bovini fa parte del ciclo biogenico del car- bonio: con la fotosintesi le piante catturano la CO2 dall’atmosfera, assorbendo il carbonio e rilasciando ossigeno; quel carbo- nio viene convertito in carboidrati dalla pianta, che, ingerita dal ruminante, viene poi digerita e in parte rilasciata come CH4. Dopo 10 anni nell’atmosfera, il CH4 viene scomposto e riconvertito in CO2. Queste molecole di carbonio sono le stesse che si trovavano nella pianta assunta dall’anima- le: il carbonio sottratto dalla pianta all’at- mosfera ci ritorna grazie al suo riciclo.
Il ciclo del carbonio biogenico tra le piante e l'atmosfera è relativamente veloce (dura 10 anni), mentre lo scambio di carbonio tra l'atmosfera e le riserve geologiche (le fonti fossili) viaggia lungo l'arco di un millennio. Il carbonio biogenico percorre un ci- clo, mentre quello proveniente dal carbonio fossile va a senso unico, dal basso in alto nell’aria. “Se manteniamo costante il numero di animali allevati” sottolinea il professor Frank Mitloehner (UC Davis) “la quantità di metano prodotta dal bestiame e quella distrutta si bilanciano a vicenda. Ciò significa che non si aggiunge carbonio in atmosfera e quindi, non si realizza, a differenza delle fonti fossili, nessun riscalda- mento aggiuntivo”.

Il CH4 proveniente dai bovini è considerato un gas di flusso perché, quando viene emesso, viene distrutto. Al contrario, la CO2 prodotta dai combustibili fossili è un gas di riserva, in quanto si accumula in atmosfera. In pratica, la CO2 emessa oggi si va ad aggiungere a quella emessa ieri, che è stata aggiunta a quella del giorno prima, e così via. L’anidride carbonica emessa magari 20 anni fa viaggiando in auto o in aereo è ancora lì in atmosfera, e ci rimarrà per altri secoli! Il CH4 emesso dalla digestione dei bovini no. Insomma, grazie alla zootecnia si potrebbe ottenere un raffreddamento globale a breve termine, fondamentale se si vuole tenere il riscaldamento globale al di sotto dei 1.5°C.

Se riduciamo il CH4 proveniente dal be- stiame, sottraiamo attivamente il carbo- nio dall’atmosfera, quasi come se dovessimo immagazzinare CO2 atmosferica nel terreno. Spiega Mitloehner: “Se si riduce il CH4 prodotto dai bovini, si sot- trae il carbonio dall’atmosfera e questo induce il raffreddamento globale. Può essere fatto, ed è stato fatto!” assicura l’esperto “Qui in California, ad esempio, siamo riusciti a ridurre il CH4 del 25%, grazie a miglioramenti nella gestione del letame. Se riduci il CH4, induci un forte raffreddamento: ciò significa che il bestiame svolge un ruolo importante per ridurre il nostro impatto complessivo sul clima.”

Come detto, dunque, il CH4 prodotto dai ruminanti dopo un decennio si dissolve, perché si attiva il processo di idrossi- ossidazione che distrugge il CH4, (Frank Mitloehner: Cattle, climate change and the methane myth. www.alltech.com): alla velocità con cui viene emesso, viene distrutto. Ciò rende il CH4 molto diverso dagli altri gas. Secondo l'EPA (Environmental Protection Agency), l’ente che esamina le fonti di gas serra negli Stati Uniti, in questo Paese, tutte insieme le fonti che consumano combustibili fossili (trasporti, produzione e uso di energia, industria del cemento, ecc.) sono responsabili dell'80% di tutti i gas serra, mentre il bestiame e la produzione di mangimi insieme sono responsabili del 3,9%.

Una fonte non secondaria di CH4 è rap- presentata dal letame lasciato a maturare per oltre 4 mesi prima del suo utilizzo. Negli ultimi anni le aziende di dimensio- ni ottimali si sono dotate di impianti di biogas dove giornalmente viene introdot- to il letame che genera CH4 ‘pulito’, utilizzato a scopi energetici (figura 4). Stan- do ai dati forniti dal CIB (Consorzio Italiano Biogas), in Italia sono operativi più di 1.500 impianti di biogas (di questi 1.200 sono in ambito agricolo). Potenzialmente il nostro Paese potrebbe produrre al 2030 fino a 8,5 miliardi di metri cubi di biometano, pari a circa il 12-13% dell'attuale fabbisogno annuo di gas naturale.

L’Italia è quarta al mondo dopo Germania, Cina e Stati Uniti per presenza di impianti di biogas. Tale attività va implementata con impianti di compostaggio che renderebbero più efficiente il trasporto verso serre e superfici agricole, oggi senza più materiale organico e pertanto destinate a diminuire drasticamente le produzioni (es. piana del Sele); con opportune sovvenzioni si svilupperebbe quell’iterazione tra attività agricola e zootecnica che nel passato rese fertili numerose pianure alluvionali della Campania (piane del Volturno, del Sarno e del Sele).

Numerosi sono i contributi sull’argomento trattato scritti recentemente da operatori dei media che spesso senza alcuna competenza diffondono informazioni che possono impattare notevolmente quel lettore che è solito ad aggiornarsi non su riviste specializzate, ma su quotidiani. Gli autori di questi articoli devono essere consapevoli che, diffondendo notizie non sempre vere, hanno la responsabilità di orientare l’opinione pubblica su argomenti di notevole importanza soprattutto sotto l’aspetto economico.