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Noi e il nostro microbioma: un matrimonio in crisi

di Maria Aponte*

Secondo Precedence Research, la dimensione del mercato dei probiotici raggiungerà 133,92 miliardi di dollari entro il 2030 e sembrerebbe che nemmeno noi italiani siamo sfuggiti a questa fascinazione. Sebbene le patrie statistiche di consumo siano viziate dagli acquisti online, il mercato dei probiotici ha registrato nel 2021 una crescita del +11,4%. Ma il dato più interessante viene da un’indagine di Federsalus: nel periodo intercorso tra giugno 2018 a maggio 2019, oltre a gastroenterologi e pediatri, gli specialisti che più di altri hanno prescritto probiotici sono stati pneumologi, dermatologi e geriatri. In altri termini, cresce anche la consapevolezza dei benefici che i nostri amici microbi possono apportare in distretti ben lontani dall’apparato gastroenterico.

Il continuum uomo-microbiota è il frutto di una coevoluzione millenaria, ed è acclarato che tale relazione simbiotica ci abbia regalato una maggiore resilienza ai cambiamenti ambientali e una migliore efficienza metabolica. In barba però al tempo che abbiamo impiegato per affinare questa liaison, il nostro attuale stile di vita rischia di stroncare l’idillio. Sinora cambiamenti significativi nella struttura del microbiota erano stati associati unicamente a transizioni epidemiologiche di profondo impatto sul comportamento sociale. Il passaggio, ad esempio, del nostro antenato paleolitico da cacciatore-raccoglitore a coltivatore, sembrerebbe aver provocato una sterzata nella composizione del microbiota intestinale, ma non avrebbe comportato alcuna perdita della preziosa biodiversità. Il primo fatale strappo a questa pacifica e proficua convivenza lunga almeno due milioni di anni, l’ha dato il cambiamento nello stile di vita e nelle abitudini alimentari che l’uomo ha sperimentato con la rivoluzione industriale, e dunque meno di 200 anni fa! La migrazione nelle città e il miglioramento delle condizioni igieniche si sono rivelati elementi cruciali di perturbazione nella simbiosi ospite-microbo. La diffusa aderenza alla cosiddetta dieta occidentale ha poi inferto il colpo di grazia. Come dimostrano analisi comparative con il microbiota di popolazioni che ancora oggi vivono come migliaia di anni fa mantenendo una nutrizione ancestrale, organismi e funzioni abbondanti nel microbiota primigenio sono scemati o persi nel microbiota urbano moderno. Ciò si riflette in un costante stato di infiammazione e in un’iperattività del sistema immunitario, che sono alla base dell’ampia diffusione di allergie, malattie autoimmuni e obesità nell’emisfero occidentale. Ovviamente senza tirare in ballo i numerosi studi che legano la disbiosi intestinale a disturbi neurologici e comportamentali. Evidenze queste che hanno giustificato la nascita nel 2010 del neologismo psicobiosi: un rivolo della probiosi il cui focus è la mediazione microbica delle relazioni tra intestino e cervello.

Naturalmente fattori sociali e uso sterminato di antibiotici hanno esizialmente inciso sull’equilibrio e sull’omeostasi acuendo una collettiva degenerazione del microbiota intestinale: fenomeno che la comunità scientifica definisce Microbiome depletion.

E in questo bailamme la domanda è una sola: basterà l’assunzione di probiotici per salvare dall’estinzione i nostri soci?

Prima di una prevedibile smentita perentoria vale la pena di ricordare che il mercato dei probiotici è a un tiro di schioppo da una rivoluzione Copernicana. La migliorata conoscenza della composizione e funzionalità del microbiota enterico ci ha fatto imbattere in batteri davvero ben diversi dai consueti lattobacilli e bifidobatteri. Oxalabacter formigenes, Faecalibacterium prausnitzii, Bacteroides uniformis ed Eubacterium hallii – per citarne alcuni - hanno skills così circoscrivibili da poterli inquadrare addirittura come terapeutici. Per molte di queste new entry - collettivamente chiamate Next Generation Probiotics - la lunga istruttoria per autorizzarne l’impiego nell’uomo è in dirittura di arrivo. Ad esempio, era previsto per settembre 2022 il lancio commerciale di cellule inattivate – in questo caso si parla di post biotico – di Akkermansia muciniphila, un batterio prodigioso che, tra le tante, promette di ridurre parametri fisiologici associati all’obesità. Se consideriamo che negli ultimi 40 anni il peso medio della popolazione mondiale è aumentato di 1,5 kg ogni 10 anni, non è per niente poco!

*Docente di Microbiologia dei Prodotti Alimentari – Dipartimento di Agraria