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Impatto ambientale o emotivo? Perché non vogliamo gli allevamenti intensivi

di Mariarosaria Manfredonia*

Perché non vogliamo gli allevamenti intensivi? Probabilmente perché una parte dell’opinione pubblica li vede come luoghi di maltrattamento animale (lo sono?), o perché fanno parte di tutte quelle azioni intraprese dall’uomo che hanno stravolto l’habitat di animali e clima? O ancora, perché si pensa che una maggiore sostenibilità economica e ambientale del nostro stile di vita, debba per forza passare dall’abolizione degli allevamenti intensivi?

Una delle polarizzazioni a maggiore impatto emozionale degli ultimi anni vuole contrapporre gli allevamenti intensivi all’amore e al rispetto per gli animali. Eppure, non tutti sanno che gli allevamenti intensivi nascono da un mero errore. Infatti, nel 1926 un piccolo allevatore di bestiame della penisola di Delmarva, costa est degli Stati Uniti, riceve per errore un carico enorme di pulcini (ben 450!). Invece di restituirne una parte, decide di tenerli tutti nella sua piccola fattoria, allestendo per loro uno spazio di fortuna. Sorprendentemente, quasi tutti i pulcini sopravvivono e si riproducono velocemente, tanto che in meno di dieci anni diventano 250 mila. Pertanto, agevolati dalla possibilità che per allevare animali non necessariamente si debba disporre di ampi terreni, e con la conseguenza che minore è lo spazio utilizzato, maggiore è razionalizzazione delle operazioni di alimentazione e cura (con maggiore rendimento e profitto), nascono e si sviluppano nella seconda metà del Novecento gli allevamenti intensivi. Negli anni a seguire, anche negli allevamenti c’è stata una crescita esponenziale dell’impiego di tecnologie utili a garantire condizioni di salute ed elevate performance degli animali, necessarie per far fronte all’aumento della popolazione e del consumo di proteine di origine animale (latte, carne, uova, pesce e loro derivati).

Ogni anno vengono allevati settanta miliardi di animali, la metà all’interno di allevamenti intensivo (https://www.ciwf.it).

In Italia, secondo i dati della Banca Dati Nazionale dell’Anagrafe Zootecnica (BDN, dicembre 2023), il maggior numero di allevamenti intensivi si concentra tra Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Con oltre 300 prodotti DOP, IGP e STG, di cui molti di origine animale, l’Italia è uno dei maggiori produttori di carne, latte e uova in Europa. Nonostante il progressivo calo del consumo pro-capite di carne bovina in Italia (negli ultimi dieci anni è diminuito del 26%), gli allevamenti sono oltre 140 mila.

Produzione da allevamenti intensivi in Italia per tipologia

Polli da carne

70 % del totale

Maiali

50 % del totale

Bovini

40 % del totale

Uova

60 % del totale

Capi in allevamenti intensivi

SUINI

BOVINI

Lombardia

4,4 mln

1,5 mln

Piemonte

1,3 mln

815 mila

Emilia–Romagna

1,1 mln

572 mila

Veneto

686 mila

753 mila

 

 

 

 

 
Accanto, però, alla crescita degli allevamenti, è cresciuta l’attenzione dell’opinione pubblica alle condizioni di vita degli animali allevati in modo industriale, soprattutto gli avicoli. Se ieri, infatti, si poneva l’attenzione sulle esperienze negative, sulla necessità di ridurre e minimizzare lo stress, oggi ci si focalizza su fattori positivi, sviluppando misure per garantire il benessere dell’animale con particolare attenzione al suo stato emotivo. Per questo motivo, la Direzione della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari del Ministero della Salute ha investito in varie innovazioni, come l’implementazione di un sistema informatizzato, nominato ClassyFarm che consente la categorizzazione dell’allevamento in base al rischio, basandosi su metodi armonizzati e scientificamente validati, nel rispetto della massima trasparenza a cui è tenuta l’autorità competente per l’attività di controllo ufficiale. ClassyFarm è una innovazione tutta italiana che consente di facilitare e migliorare la collaborazione e il dialogo tra gli allevatori e l’autorità competente per elevare il livello di sicurezza e qualità dei prodotti della filiera agroalimentare. È a disposizione di Medici Veterinari ufficiali, Medici Veterinari aziendali e allevatori per monitorare, analizzare ed indirizzare gli interventi in allevamento, e per conformarsi e recepire a pieno l’impostazione della recente normativa europea in materia di Animal Health Law e di Official controls.

Accanto agli allevamenti intensivi, esistono da sempre e continuano a diffondersi anche modelli allevatoriali di tipo estensivo, definito anche allo stato brado o semi brado. Una forma di zootecnia che prevede per gli animali condizioni di vita molto simili a quelle naturali e in stato di libertà, senza confinamento in spazi chiusi e con limitate possibilità di movimento. Dal punto di vista sanitario e veterinario, però, queste circostanze sono molto impegnative, perché sono necessari maggiori controlli e, la dispersione degli animali su territori ampi, ostacola alcune procedure. In Italia, l’allevamento estensivo viene praticato in terreni recintati, spesso suddividendo gli animali per zone, ad esempio separando le femmine con i piccoli in allattamento dai capi in fase di crescita. Le razze selezionate per questo tipo di allevamento sono in grado di sfruttare gli alimenti poveri e fibrosi, spingendosi anche all’interno dei boschi per nutrirsi. In molti casi gli allevatori forniscono parte della dieta per integrare l’apporto di nutrienti che altrimenti sarebbe insufficiente.

L’aumento della domanda di prodotti di origine animale rappresenta una grande opportunità per miliardi di persone nel mondo che proprio nell’allevamento di bestiame trovano una forma di sostentamento. Tale domanda, però, potrà essere soddisfatta solo attraverso forme di allevamento che siano finalizzate a rendere i sistemi produttivi più sostenibili, economicamente e dal punto di vista ambientale.

‘Per ogni problema complesso esiste una risposta chiara, semplice e sbagliata’ (H.L. Mencken, 1880-1956)

*Discente Master I livello in ‘Divulgazione Scientifica e Comunicazione nella Salute Pubblica’