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Veleno di vipera: è solo nocivo?

di Caterina Squillacioti, Alessandra Pelagalli*, Simona Tafuri

Nell’immaginario collettivo, le vipere sono state sempre demonizzate sia per il loro aspetto sia per l’effetto del loro veleno. Ma veramente sono solo dannose? 

Il serpente da sempre rappresenta inganno e suscita fascino e paura. Le antiche civiltà hanno sempre rispettato questo animale per il potere curativo del suo veleno ed ancora oggi questa simbologia è presente nell’immagine che raffigura la scienza medica e la farmacia, lasciando intendere la forza vitale che guarisce i mali. In effetti, evidenze scientifiche, da anni, hanno dimostrato che il veleno di serpente, secreto da ghiandole situate su entrambi i lati della testa, è una straordinaria miscela di sostanze bioattive dotate di numerose attività e potenzialità terapeutiche per la salute umana ed animale.

Nello specifico, il veleno è costituito principalmente da peptidi e proteine (>90%), che esercitano effetti neurotossici, emotossici e citotossici. Il meccanismo del danno derivante dall’avvelenamento da morso di serpente dipende dalla combinazione e dalla proporzione di ciascuna tossina, considerando anche, che alcune di esse agiscono in sinergia tra di loro.

Tra le componenti isolate dal veleno, alcuni piccoli peptidi appartenenti alla famiglia delle disintegrine, sono stati notevolmente investigati per la loro specifica proprietà di interagire e bloccare alcuni recettori (integrine) largamente diffusi sulla superficie di numerose cellule (Fig. 1) e per questo motivo capaci di interferire in importanti funzioni regolatorie coinvolte in processi biologici (sviluppo di metastasi e infiammazione). L’ampia letteratura da molti anni, evidenziando proprietà di tipo antiangiogenico, antimetastatico, antiproliferativo e pro-apoptotico, unitamente a caratteristiche quali bioattività, specificità e stabilità, suggerisce un possibile impiego di tali disintegrine non solo nel fronteggiare il cancro (Fig. 2), ma anche in altre patologie croniche.

Se, infatti, i primi studi hanno dimostrato effetti antitrombotici anche attraverso l’uso di modelli sperimentali di trombosi nel cane, successivamente nuove potenzialità terapeutiche sono state attestate da parte delle disintegrine nel favorire la sintesi di insulina. Recentemente, la loro efficacia è stata dimostrata nell’inibire fondamentali processi coinvolti nella cancerogenesi e metastatizzazione in forme di osteosarcoma del cane. Altrettanto interessanti risultano le potenzialità nel controllo di malattie parassitarie quali la leishmaniosi, così come nel promuovere, insieme con le cellule mesenchimali staminali, la rigenerazione di tessuti in animali modello. Tali evidenze, associate all’avvio di procedure di protocolli clinici, confermano le disintegrine quali potenziali “ingredienti” per nuovi farmaci. Le ricerche innovative nel campo oncologico indirizzano sicuramente verso la progettazione di un uso combinato di disintegrine insieme con altre tecnologie quali l’uso di nanoparticelle per combattere la sfida verso questa condizione patologica considerando anche che ogni veleno, a dosi diverse, reagisce in modo univoco ai tumori.

 

*Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli Federico II