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Alieni in cucina: la nuova frontiera dell’alimentazione sostenibile

di Claudia Travaglio*, Valeria Vuoso**, Marika Di Paolo**

Quando parliamo di alieni siamo immediatamente portati a pensare ad esseri verdi dalle sembianze umane che abitano galassie lontane, ma i veri alieni si trovano più vicini di quanto crediamo e stanno danneggiando il nostro pianeta. Si tratta di organismi, animali e/o vegetali che, grazie all’azione dell’uomo, sono introdotti in luoghi diversi da quelli d’origine in cui possono poi insediarsi, proliferare e assumere carattere invasivo tanto da minacciare l’ecosistema e più in generale la biodiversità. La problematica delle specie aliene non è sicuramente una scoperta recente anche se non sembra aver suscitato la giusta attenzione da parte dell’opinione pubblica. Questi organismi alieni entrano spesso in competizione con gli organismi autoctoni per le risorse alimentari e spaziali, alterando la catena trofica con un ruolo significativo nella trasmissione di nuove malattie. Anche l’impatto che hanno sull’economia non è da sottovalutare: l’Europa spende circa dieci miliardi di euro l’anno per i piani di controllo e di eradicazione.  

L’alterazione dell’ecosistema è un processo lento, che spesso si palesa quando è ormai troppo tardi. Ma possiamo trasformare questo problema in un’opportunità? Una prima risposta è da ricercare nel progetto di ricerca del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università Federico II di Napoli in collaborazione con la Regione Basilicata che mira alla valorizzazione gastronomica di specie ittiche non convenzionali dei Laghi di Monticchio nella riserva del Vulture in Provincia di Potenza. A Monticchio, all’interno della bocca di un vulcano spento, si trovano due laghi che da qualche anno soffrono a causa della presenza di specie alloctone. In questo progetto l’attenzione è stata concentrata su tre specie invasive che vantano un ampio utilizzo culinario in differenti zone del mondo diverse dall’Italia. Nello specifico sono stati analizzati il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), il pesce siluro (Silurus glanis) ed il persico trota (Micropterus salmoides). È difficile affermare con certezza come queste specie possano essere arrivate in un luogo così isolato e specifico. Il persico trota ed il pesce siluro sono notoriamente amati dai pescatori sportivi. Si tratta di predatori che raggiungono dimensioni notevoli, sono vivaci e combattivi ed è quindi plausibile che siano stati rilasciati dai pescatori stessi. Nel tempo ci sono stati numerosi tentativi di allevamento e commercializzazione del gambero della Louisiana in Europa, considerato interessante per resistenza e prolificità e soprattutto per la prelibatezza delle sue carni molto apprezzate negli Stati Uniti, è stato importato in Toscana, dove l’allevamento all’aperto e la capacità del gambero di percorrere lunghe distanze anche sulla terra ferma, ne hanno favorito la diffusione.

L’obiettivo dello studio è stato cercare di valorizzare prodotti non convenzionale e allo stesso tempo potenzialmente dannoso per l’ambiente, con lo scopo di informare il consumatore e orientarlo verso una scelta alternativa e sostenibile.

Dalle analisi chimiche effettuate sulla porzione edibile dei campioni è emerso l’elevato contenuto proteico paragonabile a quello del pesce azzurro, e il ridotto contenuto in sale. Questo li rende alimenti adatti alle categorie di consumatori che seguono un regime di dieta iposodico. Analizzando la componente acidica è stato possibile notare che nel pesce siluro e nel gambero della Louisiana i valori di acidi grassi polinsaturi sono decisamente elevati. Nel persico trota gli acidi grassi saturi (SFA) eccedono lievemente i polinsaturi (PUFA) tuttavia, il rapporto PUFA/SFA è di 0,94 quindi ben superiore al valore 0,45 consigliato dai nutrizionisti. Questo rapporto non è però sufficiente per valutare la qualità del profilo acidico di un alimento, pertanto sono stati introdotti altri parametri, come l’indice aterogenico (AI) e l’indice trombogenico (TI). L’AI è utile per valutare la capacità di un alimento di promuovere la formazione di placche aterosclerotiche a livello delle arterie, il TI per valutare la capacità di promuovere l’aggregazione piastrinica. I valori raccomandati sono inferiori all’unità e nei campioni analizzati entrambi gli indici rientrano nell’intervallo. In particolare, il TI ha mostrato valori compresi tra 0,23 e 0,42, a conferma dell’elevato valore nutrizionale delle specie analizzate. Al fine di ottenere un’analisi completa del rischio al quale si espone il consumatore in seguito all’ingestione dei specie alloctone presenti nei suddetti laghi, sono state, inoltre, eseguite indagini per valutare i livelli di concentrazione di mercurio, cadmio e piombo nelle parti edibili delle tre specie esaminate. In nessuno dei campioni analizzati sono state riscontrate concentrazioni di metalli pesanti superiori ai limiti legislativi.

Valorizzare le specie di lago invasive alloctone potrebbe, quindi, fornire valide alternative al consumo di specie ittiche convenzionali, un obiettivo raggiungibile attraverso informazione e sensibilizzazione dei consumatori ad una scelta consapevole e orientata verso un panel di prodotti poco noti e sostenibili.

*Dottore in Medicina Veterinaria, **Dottorando di Ricerca in Scienze Veterinarie