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La grande, ultima chance del giornalismo: spezzare la catena delle fake

di Diana Letizia*

L’immagine di copertina dell’ottima iniziativa del Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni animali della Federico II evidenzia qual è l’anello mancante che potrebbe spezzare davvero la catena delle fake news: il giornalismo. I microfoni puntati verso la bufala animale che produce la bufala notizia sono rappresentativi, infatti, di come vengono percepiti i media mainstream: colpevoli e complici nel contribuire alla diffusione di informazioni false. 

Al centro dell’attenzione ci sono gli “strumenti del mestiere” e non i simboli dei Social Network attraverso i quali avviene, principalmente a opera proprio degli stessi lettori/utenti, la propagazione massiva di notizie non verificate. Eppure la scelta fatta non è un errore, anzi: dal mio punto di vista è una conferma della percezione che le persone hanno di un giornalismo spesso carente nell’essere punto di riferimento e non eco di menzogne in Rete.

All’interno delle redazioni dei giornali, del resto, l’apporto al digitale è ancora scarso e da un punto di vista culturale il giornalista ha grandi difficoltà a muoversi nel mare magnum della Rete. Una piaga che colpisce tutti i settori: dalla politica all’economia, passando per la cronaca. E la non applicazione delle tre parole chiave della professione - verifica, veridicità e correttezza - è ancora più evidente nella produzione di notizie sul mondo animale. Argomento nel quale, anzi, ancora di più si gioca sul lato emotivo delle persone con titoli da click baiting che tendenzialmente riguardano due tipologie di contenuti: curiosità per nulla approfondite (ad esempio: “il cane con il papillon”, “il gatto che salva la bimba sola in casa”) o notizie di cronaca nera. Queste ultime, poi, in assenza di approfondimento ancora più gravi per le ricadute sulle relazioni interspecifiche: con animali domestici trasformati in belve feroci, senza alcun accenno relativo all’etologia e analisi rivolte al lettore sul perché determinate dinamiche possano portare, nella sistemica familiare, a episodi che spesso vengono sbattuti in prima pagina senza alcuna verifica.

Agli studenti, durante le lezioni, mostro due reportage multimediali che ho realizzato in Marocco e Costa Rica dove mi sono recata per raccontare la vita dei cani randagi. Sono spunti utili, per chi voglia fare il giornalista, per mettere insieme due aspetti fondamentali dell’informazione di settore. In primis il racconto della realtà dei fatti attraverso interviste ai protagonisti, quindi lasciando parlare chi ha le compentenze e l’esperienza relativa al tema di cui tratta la notizia. E quanto, poi, grazie a uno strumento prezioso come la Rete, si riesca a restituire al lettore un lavoro che include contenuti che possono essere fruiti in diverse versioni (testi, foto, video, infografiche).

Il mondo dell’informazione è ancora in tempo per comprendere l’importanza e la “grande bellezza” di un mezzo che consente di entrare in contatto e in conversazione con il proprio target, anche su temi così specifici come la zooantropologia, ad esempio. Internet offre ai giornalisti, finalmente, la possibilità di riprendersi il ruolo fondamentale della professione di essere i mediatori cui rivolgersi, in un mondo in cui la disintermediazione è diventata un fenomeno capillare e complesso. Una modalità che ha dei vantaggi, come la libera espressione delle opinioni e la possibilità di informarsi autonomamente, ma anche dei pericoli enormi. Uno su tutti l ’incapacità del lettore, spesso, di distinguere le fonti e dunque la bontà della notizia.

*Diana Letizia, giornalista professionista, è responsabile della redazione online de Il Secolo XIX. Insegna Teorie e Tecniche del linguaggio giornalistico per i new media alla Facoltà di Scienze Politiche di Genova. 

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