di Federica Capano e Carmen Cabato*
*Borsiste di ricerca su Progetto - PSR Basilicata 2014/2022- “Valorizzazione delle produzioni lattiero-casearie delle razze ovi caprine autoctone ed allevate nella Regione Basilicata VAL.PRO.LAT”
Quando si parla di ricerca si pensa spesso ad attività confinate all’interno di un laboratorio con indosso un camice e provette in mano. La ricerca non è solo questo! La ricerca è percorrere in auto sentieri sconnessi con la voce di un navigatore da seguire e schede dati da compilare, con nulla di poetico, ma che racconta molto del valore silenzioso della sperimentazione applicata. Proprio in quei percorsi tortuosi, tra stalle, pascoli e piccole aziende incastonate nei paesaggi più remoti, prende forma il senso profondo della ricerca sul campo.
Come borsiste impegnate in due progetti legati alla valorizzazione delle aree marginali della Regione Basilicata - uno dedicato alle carni di capretto e l’altro alla produzione di formaggi caprini da razze autoctone - abbiamo imparato che dietro ogni dato raccolto c’è una storia, una scelta resiliente, un pezzo di futuro da proteggere.
Chiunque abbia vissuto (o anche solo attraversato) la Basilicata sa che lì le distanze non si misurano in chilometri, ma in curve e silenzi. Le strade si snodano tra campi abbandonati, masserie isolate, piccole aziende resistenti come cardi selvatici. Ed è proprio lì che ci ha portate il nostro lavoro di ricerca.
Dietro questi progetti c'è l'Università, certo, ma c’è anche molto di più. C’è la collaborazione con piccole realtà locali – aziende zootecniche, caseifici familiari, cooperative agricole – e con enti pubblici come il CREA, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura, con cui abbiamo condiviso competenze, strumenti e una visione comune: dare valore a ciò che spesso viene considerato “marginale”.
In un’epoca in cui l’innovazione sembra sempre arrivare dalle metropoli, lavorare nelle aree interne significa ricordare a tutti che la qualità, la biodiversità e la sostenibilità sono spesso radicate proprio dove la modernità arriva più lentamente.
Negli incontri pastori, casari e allevatori ci accoglievano con la schiettezza di chi vive a contatto con la terra: tra una lamentela sul tempo e qualche commento ironico sulla distanza tra il mondo accademico e quello delle stalle. A volte, però, erano proprio loro ad aprirsi al lavoro delle borsiste, comprendendo quanto fosse importante il nostro ruolo di ponte tra ricerca e territorio.
È proprio in questo contesto che il ruolo e le attività dei borsisti, in collaborazione con l’Università, assumono una funzione fondamentale. Il compito dei borsisti non è solo quello di raccogliere dati o applicare protocolli, ma anche comunicare i risultati in modo chiaro e accessibile. Quando la ricerca entra in contatto con le realtà locali, è importante saperla raccontare con un linguaggio comprensibile, utile e concreto. La divulgazione, in questo senso, non è un passaggio secondario, ma una parte essenziale del lavoro: serve a dare visibilità al territorio, a valorizzare le competenze e a costruire connessioni tra ricerca e società.
Alla fine di queste giornate di campionamento, con le scarpe infangate e la mente piena, ci portavamo a casa qualcosa di più di un foglio dati aggiornato: l’idea che la scienza, quella vera, quella utile, si fa anche così! Nei paesi che si svuotano, nelle stalle ancora vive, nei formaggi stagionati su assi di legno, nel belato dei capretti che riempie l’aria, nei sorrisi sinceri di chi, nonostante tutto, continua a credere in ciò che fa.
E se oggi qualcuno ci chiedesse cosa significa davvero “valorizzare un’area marginale”, risponderemmo senza esitazione: significa riconoscerne il valore, prima di tutto. Poi viene il resto.