di Chiara Attanasio e Laura Manfuso*
Chi non ha mai associato i piccioni a esseri infestanti, sporchi e portatori di malattie? Non neghiamolo, un po’ tutti. Ma è effettivamente così?
Facciamo prima un piccolo passo indietro: il nome scientifico del famigerato volatile che abita ogni angolo delle nostre città è Columba livia domestica; è interessante soffermarsi sull’aggettivo “domestica”, poiché, benché la sua attuale popolarità lasci un po' a desiderare, il piccione è stato in effetti ampiamente addomesticato nei millenni, ed è questa la ragione che spiega il perché i piccioni siano sempre a stretto contatto con le persone. Il legame uomo-piccione inizia più di 5000 anni fa, come è attestato sia dalle tavolette cuneiformi mesopotamiche sia dai geroglifici egizi, che ben documentano quanto questo animale fosse essenziale nel ruolo di postino. Fonti ben documentate testimoniano che anche durante i giochi olimpici i piccioni venivano usati per consegnare rapidamente i risultati degli eventi al pubblico. A conferma della loro velocità, può essere interessante raccontare dell’importanza che ha avuto questo columbiforme nell’accrescere la fortuna della nota famiglia di banchieri Rotschild nel corso dell’800: grazie alla rete di piccioni addestrati di cui disponevano, potevano effettuare comunicazioni relative alla finanza molto più velocemente, schiacciando così la concorrenza. Tuttavia, è durante le guerre mondiali che i piccioni hanno avuto l’opportunità di dimostrare quanto fossero davvero preziosi: essi, infatti, come silenziosi messaggeri alati, potevano superare le linee nemiche indenni, consegnando messaggi cartacei contenenti informazioni strategiche o richieste di soccorso. L’ampio utilizzo come uccelli “viaggiatori” trova una spiegazione nell’eccezionale senso dell’orientamento di questa specie: i piccioni, come numerosi uccelli migratori, riescono a percepire il campo elettromagnetico terrestre sfruttando la proprietà della magnetoricezione, attivata grazie alla presenza all’interno dei loro occhi di particolari proteine, i criptocromi. Questa capacità, unita al profondo attaccamento che il piccione nutre nei confronti del luogo in cui nidifica, e nel quale cercherà sempre di tornare, permetteva di utilizzare questa specie come messaggero, secondo uno schema ben preciso: ipotizzando che un soldato della II Guerra Mondiale avesse voluto inviare messaggi, per esempio, da Napoli a Milano, tramite un piccione viaggiatore, avrebbe dovuto scegliere un individuo che aveva nidificato nel capoluogo lombardo, e che quindi, trasportato a Napoli, avrebbe volato facilmente verso il suo nido. Questa capacità è apprezzabile in numerosi contesti, come i luoghi in cui il piccione in precedenza ha trovato cibo, come può capitare per una panchina al parco dove era seduto qualcuno che gli ha somministrato del pane. A tal proposito, urge sottolineare che il pane, diversamente da ciò che si pensa, non è di certo alla base di una dieta ideale per il piccione, che è un uccello granivoro o frugivoro, per cui dovrebbe nutrirsi perlopiù di bacche, semi e frutta; tuttavia, la notevole flessibilità delle preferenze alimentari ha permesso a questi animali di adeguarsi ad una dieta onnivora per potersi procacciare cibo nelle città. Tale caratteristica è, probabilmente, supportata anche dalla scarsa presenza di papille gustative, che in questa specie sono solo 37 contro le nostre 10000.
Ma questa non è l’unica arma che il piccione possiede per sopravvivere alla dura vita cittadina: quante volte sarà capitato ad ognuno di noi di rallentare bruscamente alla guida per paura di investire un piccione che sembra non volerne sapere di volare via del centro della strada? Ebbene, questa apparente lentezza di reazione è in realtà una nostra infondata percezione, dato che la capacità di processare le immagini è estremamente veloce in questo animale, che è dunque capace di individuare immediatamente il pericolo. Ma non solo: quel chiaro fruscio di ali che si può sentire al suo sollevarsi, è dovuto al fatto che le ali in effetti sbattono tra loro, il che è un atto essenziale a produrre una notevole forza di propulsione che, benché possa sembrare un volatile tozzo, permette al piccione di spiccare il volo in maniera repentina. E quel piumaggio grigiastro? Anche se erroneamente associato alla sporcizia, esso contribuisce alla sua sopravvivenza: questa caratteristica morfologica, infatti, sembrerebbe proteggere i piccioni dall’avvelenamento da metalli pesanti, poiché, incredibilmente, i pigmenti scuri delle penne si legano facilmente ai metalli, intrappolandoli nel piumaggio, ed evitando il loro passaggio nel circolo sanguigno.
Proviamo, infine, a far luce su un diffuso dilemma: i piccioni favoriscono la diffusione di alcune malattie? In effetti, potrebbero essere veicolo di agenti patogeni. Ma attenzione, ciò non va imputato direttamente all’animale, il quale non è un potenziale “untore” per sua natura, ma al malsano ambiente cittadino nel quale esso vive. La verità, dunque, è che i piccioni non sono “sporchi”, soprattutto non lo sono più di tutte le altre specie animali che si trovano ad abitare le nostre città, come cani e gatti. Essi sono semplicemente lo specchio dello sporco che trovano nei luoghi che condividono con noi, il che, più che portarci a disprezzarli, dovrebbe farci riflettere. Se cresciuti in ambienti idonei, i piccioni si mostrano molto attenti alla pulizia del loro piumaggio, bagnandosi in acqua e riordinando meticolosamente tutte le piume con il becco, condizione essenziale per ogni volatile al fine di mantenere costante la temperatura corporea e a volare.
Proviamo dunque a ricordare quanto, nel passato, abbia significato il piccione per l’essere umano, e quanto sia ingiusto che adesso, non più utile ai nostri scopi, si trovi ad essere una specie sottovalutata e incompresa. Speriamo che la riscoperta di tutte le sue straordinarie caratteristiche possa portare in futuro ad una convivenza più rispettosa.
*Laureata in Tecnologie delle Produzioni Animali