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Le due culture della ‘Federico II’

di Sante Roperto

Umberto Eco diceva che frequentare bene l’università, significa avere vent'anni di vantaggio. Un po’ quello che aveva pensato nel 1224 Federico II quando aveva fondato un’università per formare l’elite chiamata ad affiancarlo nella gestione del suo Regno. Una formazione continua ed esclusiva mirante all'eccellenza, per istruire una classe capace di parlare lo stesso linguaggio e operare secondo le stesse dinamiche. L'Università, dunque, quale frontiera delle conoscenze più avanzate, aspetto determinante nella costruzione del nostro paese e nella formazione della classe dirigente chiamata a guidarlo. In questo senso, il futuro dell'Università passa attraverso l'interconnessione, sempre più stretta, tra le sue numerose discipline.

Di professione ero scienziato, di vocazione scrittore. Scriveva Charles Snow nel celeberrimo 'Le due culture', oltre mezzo secolo fa. E per molto, forse troppo, tempo si è creduto che umanisti e scienziati appartenessero a due mondi contrapposti e che, senza comunicare, si guardassero con diffidenza e scarsa comprensione. Questi due mondi invece hanno solo due velocità diverse, ma non altro. Perché in entrambi ritroviamo atteggiamenti e regole comuni, stessi campi di applicazione e soprattutto lo stesso modo di accostarsi alle cose. La dicotomia è una costruzione storica recente, ma non è stato sempre così. Galileo Galilei, ad esempio, era un letterato fantastico, come dimostrò nel 'Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo', forse il punto di partenza della scienza moderna. E anche Leonardo da Vinci, Pascal o Goethe erano contemporaneamente eccellenti filosofi e illustri scienziati. Da secoli quindi vita pratica e vita intellettuale vivono, nello strato più profondo, una distinzione meno netta. La cultura è sempre stata unica all'interno di una prospettiva più ampia.


In molte università del mondo, le humanities sono oggi sempre più contemplate nelle carriere o nei curriculum scientifici, proprio come nell’idea originaria di Federico II. Si è infatti capito quanto le discipline umanistiche, non solo preparano ad adempiere alle responsabilità civili e culturali, ma individuano anche gli strumenti utili ad estendere nel tempo le più recenti acquisizioni tecniche e scientifiche. Inoltre, lo studio delle scienze umane rafforza la capacità di comunicare, spiegando a una società così veloce e moderna i progressi della scienza. Magari facendo leva su moderne tecniche di comunicazione quali lo storytelling, di ormai larga applicazione non solo nella scrittura, ma anche nella neurologia, in economia aziendale, nell'enogastronomia, nella storia e nella sociologia. In questo contesto gli studenti, grazie alla tecnologia, sono più flessibili e predisposti a distruggere i muri esistenti tra le discipline, scoprendo che nel mondo l'apprendimento interdisciplinare aggiunge valore alla laurea.

L'Università lavora sui processi che hanno impatto sulla vita delle persone. E il nostro Ateneo alle sue mission ha aggiunto di recente il rapporto col territorio in maniera più diretta e penetrante, perché si è capito che il mercato del lavoro è oggi molto più complesso rispetto a quello di una società in forte crescita, come era ad esempio nel dopoguerra. Ovviamente, l'Università produce competenze e professionalità, ma non posti di lavoro, eppure può garantire in questa ottica un contributo fondamentale. Oggi, infatti, le competenze formate dall'Università e quelle richieste dal mercato del lavoro vivono un rapporto molto stretto, e per andare in questa direzione bisogna allargare lo sguardo e collocare la trasmissione delle conoscenze e la formazione di abilità in un percorso diverso. In sostanza produrre valore pubblico attraverso la multidisciplinarietà e le attività di Terza Missione significa migliorare la capacità di azione e di comprensione del mondo.