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La pecora bagnolese, una razza da valorizzare

di Francesca Caruso1, Maria Chiara Cioffi1, Andrea Marzullo1, Sara Albarella2, Emanuele D’Anza2
1Liceo Scientifico e Linguistico Elio Vittorini, 2Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali

La storia della pecora bagnolese inizia decisamente prima della sua origine, risale infatti al periodo di Federico II, che nella sua magnificenza, è stato in grado di influenzare favorevolmente numerosissimi campi della scienza, dell’arte, della letteratura e della cultura in generale. In questo articolo vogliamo raccontare, tra storia e leggenda, quanto Federico II quanto abbia inciso sulla progressione delle conoscenze nel mondo animale, e quanto abbia influito su eventi, come l’origine della pecora bagnolese, anche a distanza di secoli.

Nel 1224 l’imperatore Federico II iniziava le Licterae generales (o manifesto) indirizzate all’impero e al mondo intero per annunciare l’istituzione dell’Università di Napoli: «Nel nostro regno desideriamo che molti siano resi savi e accorti attingendo alla fonte delle scienze e al vivaio di saperi». Parole che invitavano tutti gli studenti a venire a Napoli, presso la prima università statale del mondo perché fondata da un’autorità pubblica laica.

Federico II non era un semplice governante, era un appassionato e curioso ricercatore che analizzava le sue attività con quello che poi, secoli dopo, sarebbe diventato il “metodo scientifico”.

Con Federico II nasce un vero e proprio 'sistema' di aziende produttive dislocate in territori di dominio riservato al sovrano. Sono le massarie regie, masserie di stato, centri di organizzazione del lavoro agro pastorale: dislocate un po' dappertutto 'a macchia di leopardo', le masserie regie si concentrano in misura maggiore nei territori a più alto tasso di produzione cerealicolo-pastorale, come la Sicilia e la Puglia. Federico II stabilì, inoltre, un complesso di norme codificate in leggi che regolavano minuziosamente l'attività produttiva e la gestione amministrativa delle masserie. Le mansioni principali erano affidate a sovrintendenti, i provisores massariarum (saranno poi chiamati magistri massariarum o mastri massari), da cui dipendevano tutte le masserie regie presenti all'interno di ogni circoscrizione.

Federico, grande allevatore e addestratore di cavalli, conosceva bene le regole del meticciamento con soggetti miglioratori per creare cavalli sempre più forti e competitivi; decise di adottare gli stessi schemi di selezione anche su altre specie di animali che potevano essere migliorate e portare ricchezza ed economia al regno. Non tutti sanno, infatti, che a partire da Federico II, grazie ai suoi rapporti militari, economici e soprattutto di amicizia con le popolazioni del Nord Africa, iniziarono numerosi scambi commerciali finalizzati all’introduzione di animali.

Fu così che, per molti secoli, pecore provenienti dal Nord Africa vennero importate nel Sud Italia, in particolare in Sicilia: la razza ovina Barberin del versante nord Africa a coda grossa venne incrociata con gli ovini locali della razza Siciliana propriamente detta Pinzirita. Nel 1600, la transumanza di questi ovini verso i territori Campani dell’entroterra, in particolare l’avellinese, il beneventano e il salernitano, convinse gli allevatori ad effettuare degli incroci di sostituzione della razza Barbaresca con la razza Appenninica dall’Irpinia, dando origine ad una ancestrale pecora Bagnolese.

Queste curiosità riguardanti la pecora bagnolese e Federico II smentiscono una nota leggenda. Si racconta, infatti, che tanto tempo fa, verso la fine di ottobre a Laceno, un pastore cominciò a radunare le sue pecore per la transumanza. Stava scendendo i pendii del Monte Raiamagra quando un temporale lo colse lungo il percorso e si abbatté violentemente sul gregge; il cielo divenne scuro e la nebbia fitta. I cani addestrati alla guardia del gregge iniziarono ad abbaiare per incitare il gregge a scendere rapidamente a valle e seguire il pastore, altrimenti non sarebbero sopravvissute. Le pecore belavano spaventate e fu così che, colti dalla paura, una pecora e un montone si smarrirono nel bosco; camminarono tanto per ripararsi dall’intemperia e finalmente trovarono una grotta per rifugiarsi.

Era la Grotta di San Pantaleone dove, dalla roccia, sgorgava dell’acqua miracolosa utilizzata dalle donne che allattavano al seno i bambini piccoli per curare la mastite. Durante la notte iniziò a nevicare tanto, e la neve ricoprì interamente l’ingresso della grotta. La nevicata durò tre mesi, da dicembre a metà marzo. Poi arrivò il sole e il caldo sciolse la neve, cosicché il pastore fece ritorno in montagna con il gregge. Le pecore stavano risalendo allegre la montagna e le campane al collo degli animali suonavano festose. La pecora e il montone poterono, quindi, ritornare con il resto del gregge per riunirsi al gruppo, ma le altre pecore non li riconobbero e li scacciarono perché erano diversi da loro: essendosi nutriti di bacche durante l’inverno, il loro viso non era più bianco, ma mostrava delle picchiettature nere (cicci neri), che è la caratteristica della Pecora Bagnolese. A questo punto, scacciati dalle altre pecore del gregge, ai due animali non restò che ritornare nella Grotta di San Pantaleone, dove vissero dando vita alla razza autoctona della pecora Bagnolese. Intanto le donne continuavano a recarsi alla grotta per curare la mastite e da allora portavano con loro anche fieno e paglia per far sopravvivere i due animali.

Oggi sappiamo che, naturalmente, questa è solo una leggenda.

La pecora Bagnolese è infatti una razza autoctona campana che ha preso il nome dal paese di Bagnoli Irpino, in provincia di Avellino, uno dei centri più importanti di allevamento. Non è molto dissimile dalla razza ovina Barbaresca, di lontane origini nordafricane e oggi diffusa soprattutto in Sicilia. È di mole piuttosto grande – i soggetti adulti maschi pesano circa 100 kg, le femmine circa 60 kg – ha vello bianco, mascherone nero, macchie scure sulla schiena e picchiettature sulla testa. È una razza acorne – nelle femmine – con accentuato profilo montonino. Le orecchie sono lunghe, larghe e pendenti con macchie nere puntiformi. È un ovino rustico, adatto ai pascoli difficili, fornisce produzioni interessanti sia di latte sia di carne. Nella cucina locale sono molto usati anche gli agnelli che, nutriti esclusivamente con latte materno, offrono carni particolarmente tenere e delicate. Il tipo d’allevamento prevalente in Irpinia, un’area dove si pratica ancora la monticazione estiva dei capi sulle cime più alte dei Monti Picentini, è brado o semibrado, con pascolo erbaceo e un’integrazione solo nei mesi invernali.

In passato il sistema di allevamento prevalente era quello pastorale a gestione familiare, lontano dai grandi insediamenti urbani. Il pascolo brado era la principale fonte di alimento e le integrazioni erano contemplate solo per un ristretto periodo dell’anno. Oggi si è passati al semibrado con integrazione alimentare e si predilige, ove possibile, l’uso di granelle prodotte in areali vicini alle zone di allevamento che incidano il meno possibile sulle caratteristiche organolettiche del latte prodotto. In generale, gli armenti sono tenuti nel periodo invernale in ricoveri semplici ma funzionali. Il latte, ricco di proteine e con un'elevata attitudine alla caseificazione, costituisce la materia prima per produrre formaggi e ricotta. Gli animali, oggi come un tempo, vengono allevati in greggi di piccole e medie dimensioni (dai 50 ai 400 capi) raramente costituiti da soli soggetti bagnolesi, data la contemporanea presenza di capi meticciati o di altra razza. Negli anni ’80 la popolazione ovina totale veniva stimata intorno ai 20.000 capi, attualmente la consistenza numerica si è molto contratta (circa 8500 capi nel 2023). La fortuna della tradizione pastorizia dell’area irpina, che fa parte della storia e delle tradizioni di Bagnoli Irpino, si può ricondurre al fatto di essere rimasta completamente avulsa da quella agricola ed essersi sempre basata su un’organizzazione di tipo patriarcale e sullo sfruttamento di pascoli sia privati che demaniali.

Dal latte della pecora bagnolese si ricava il pecorino bagnolese, conosciuto anche come "casu'r pecora" o "pecorino di bagnolese". È un formaggio a pasta dura e grassa, dal colore paglierino e dal sapore piccante, caratterizzato da una crosta dura e compatta che tende al marrone. Il processo di produzione segue tecniche tradizionali: il latte viene riscaldato a una temperatura di circa 37-40°C e coagulato con caglio di agnello prodotto artigianalmente. Una volta che la parte solida è stata separata dal siero (che viene utilizzato per produrre ricotta e altre preparazioni casearie), si procede alla produzione delle forme di pecorino. Queste forme vengono quindi fatte riposare e maturare in cantine di pietra, dove l'umidità è controllata per garantire la giusta maturazione. Maggiore è il tempo di stagionatura, più il pecorino diventa piccante e friabile; una maturazione più breve, invece, produce una consistenza più cremosa e vellutata.

La ricotta è ottenuta dal siero residuo della produzione del pecorino di bagnolese. Il siero viene riscaldato a circa 90°C, le proteine quindi si separano sotto forma di piccoli fiocchi che galleggiano in superficie, creando la ricotta. Per rendere più morbida la ricotta, si aggiunge al siero del latte crudo di pecora bagnolese e, quando ha raggiunto i 60°C e dopo un riposo di 10 minuti, la ricotta viene estratta utilizzando uno strumento chiamato "tassa" e viene messa in fuscelle di vimini o ginestra, per contenere da 500 g a 2500 g di ricotta.

Oggi con pochi capi di Pecora Bagnolese, di cui mille solo nella zona dell’altopiano Laceno, non possiamo parlare di rischio di estinzione, ma indubbiamente questa razza estremamente interessante merita una valorizzazione diversa, considerato il notevole livello qualitativo delle produzioni casearie.

Fonti

  1. Licinio, Uomini e terre nella Puglia medievale. Dagli Svevi agli Aragonesi, Bari 1983.
  2. Del Treppo, Agricoltura e transumanza in Puglia nei secoli XIII-XVI: conflitto o integrazione? in Agricoltura e trasformazione dell'ambiente. Secoli XIII-XVIII. Atti della XI settimana di studio dell'Istituto "F. Datini", Prato, aprile 1979, a cura di A. Guarducci, Firenze 1984, pp. 455-460.
  3. Comba, Le origini medievali dell'assetto insediativo moderno nelle campagne italiane, in Storia d'Italia, Annali, 8, Insediamenti e territorio, a cura di C. De Seta, Torino 1985, pp. 369-404.
  4. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall'XI al XIII secolo, ivi 1990.
  5. Licinio, Ostelli e masserie, in Strumenti, tempi e luoghi di comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle undicesime giornate normanno-sveve, Bari, 26-29 ottobre 1993, a cura di G. Musca, ivi 1995, pp. 301-321.
  6. Id, Masserie medievali: masserie, massari e carestie da Federico II alla dogana delle pecore, presentazione di C.D. Fonseca, ivi 1998.
  7. Russo e Branca La leggenda della Pecora Bagnolese.