Slider news

Il cavallo rampante, emblema di un popolo e di una città. La vera storia

Sonia Appierto1, Martina Migliardo1, Andrea Romano1, Antonio Calamo2, Nicola Maio3
1Liceo Ginnasio Statale Gian Battista Vico, 2Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, 3Dipartimento di Biologia

Storicamente la città di Napoli e il popolo napoletano sono associati alla figura simbolica di un cavallo, un cavallo rampante per l’esattezza. Esistono diverse narrazioni sull’argomento, che hanno dato origine a tante leggende e miti. Cercheremo di fare un po’ di chiarezza in merito.

La vera origine è molto antica e risale, secondo gli studiosi, alla fondazione della città di Neapolis ad opera dei Greci intorno al V secolo a.C. La “nuova città” fu dedicata al Sole, e precisamente al culto del Dio Apollo-Elio che, secondo il mito, viaggiava con un carro trainato da un cavallo, il “Corsiero del Sole” appunto. Nella attuale Piazza Sisto Riario Sforza, dove ora c’è la guglia (obelisco) di San Gennaro, sorgeva una grande statua equestre di bronzo posta su un piedistallo marmoreo, eretta in onore del dio solare proprio nei pressi di un grande tempio dedicato al culto apollineo, poi trasformato nella Basilica di Santa Restituta edificata sotto Costantino nel IV secolo d.C. e oggi inglobato all’interno del Duomo di Napoli.

Secondo antiche tradizioni, quando morì Federico II, la città si ribellò al potere degli Svevi tanto da costringere, nel 1253, il figlio dell’imperatore, Corrado IV, ad assediare la città e ad espugnarla con grande difficoltà a causa della strenua difesa dei napoletani. La tradizione narra che Corrado, conquistata la città, in preda all’ira, per dimostrare di aver domato il popolo, volle mettere un morso in bocca alla statua del cavallo. A partire dal XIII secolo nacquero intorno alla statua tantissime credenze, anche a sfondo magico esoterico, perché venerata in nome del culto di Virgilio, poeta e mago, e quindi ritenuta capace di guarire i cavalli malati. Poiché tali riti erano ritenuti pagani, nel 1322 il cardinale Filomarino volle far rimuovere la statua, e il suo bronzo, tranne la testa, fu utilizzato per le campane del Duomo. Tutte bufale!

In realtà, la “Protome o Cavallo Carafa”, risulta con certezza da studi più recenti, che fosse parte di un monumento equestre di Donatello commissionato dal re Alfonso V d'Aragona; il monumento rimase incompiuto per la morte del re e la statua fu recuperata dalla famiglia Carafa. Oggi è conservata nel MANN e una sua copia fa bella mostra di sé nella Stazione “Museo” della Metropolitana di Napoli. La “Protome Carafa” è oggi il simbolo presente nel logo della squadra di basket Generazione Vincente Napoli Basket.

Fin dal periodo greco-romano della città, esisteva un’antica tradizione partenopea di scuole di equitazione e di allevamenti di cavalli impiegati per la guerra. Questa tradizione fu mantenuta sino al medioevo: di particolare importanza fu, tra il XII ed il XIII secolo, l’introduzione di cavalli leggeri e veloci da utilizzare nella caccia con il falcone, di cui fu famoso cultore Federico II di Svevia. Egli, oltre ad essere rinomato come Stupor Mundi, per via della sua poliedrica curiosità intellettuale, si cimentò nello studio di molteplici discipline, tra cui l’ippiatria stessa. Il cavallo, infatti, detiene un ruolo cruciale nell’iconografia del potere federiciano. Inoltre, fu proprio sotto l’imperatore svevo che Giordano Ruffo, un nobile calabrese ed esperto maniscalco che lavorava presso le scuderie della corte, si fece notare per le sue competenze, tanto che Federico II in persona gli commissionò un trattato sulla cura dei cavalli, la cui stesura fu supervisionata dall’imperatore stesso. Il trattato, De Medicina equorum o Hippiatria, scritto in latino, fu portato a termine tra il 1250 e il 1256, rappresenta la prima opera di veterinaria medievale conosciuta. Il trattato ebbe un tale successo da essere tradotto in almeno otto lingue fin dai primi anni, e poi modificato, trascritto e citato, nei secoli successivi, in tantissime altre opere sull’argomento.

L’arte equestre napoletana ebbe il suo culmine in età Angioina (XV secolo) e Aragonese (XVI secolo), quando, incrociando cavalli locali, africani e asiatici, fu selezionata una razza denominata “Corsiero Napolitano” che fu considerata a ragione sino al XIX secolo, una delle migliori razze al mondo per le esigenze della cavalleria militare. Sempre a Napoli è nata intorno al 1534, grazie a maestri come Giovan Battista Ferraro e Federico Grisone, la prima accademia equestre d’Europa.

Come oggi le grandi città sono divise in municipalità, così in passato Napoli era divisa in “Sedili” o “Seggi” o “Piazze”, ognuno dei quali aveva un suo stemma identificativo (“arma” o insegna), e non a caso, alcuni Sedili avevano come “arma” il cavallo: il Seggio del Nilo (o Nido) aveva un cavallo rampante nero in campo d’orato e il Seggio di Capuana aveva un cavallo d'oro frenato in campo azzurro, che simboleggiava ancora Apollo e il sorgere del Sole. La bandiera del Regno delle due Sicilie, sotto i re francesi 1808/1815, aveva un cavallo nello stemma che simboleggiava il Regno di Napoli (o Sicilia al di qua del Faro o Citeriore). Ancora oggi la Provincia di Napoli prima e la Città Metropolitana poi, ha come emblema il cavallo rampante, che è raffigurato sul suo stendardo, delle bandiere del regno di Napoli e del Sedile del Nilo.

Più di recente, la figura del cavallo rampante costituisce un simbolo della cultura partenopea, nonché il logo originale dell’Associazione Calcio Napoli. Tuttavia, il deludente esordio della squadra tramutò la vigorosa figura del cavallo in quella più mansueta di un somaro, che rimane tutt’oggi la mascotte del club.

 

Fonti

  1. Ferri G., 2018. Passato e presente: la nuova Accademia di Arte Equestre Federico Grisone e la rinascita del cavallo Napoletano. Territori della Cultura. Rivista on line, 33/2018: 16-29.
  2. Scafetta N., 2021. Napoli. La Città del Sole e di Partenope. Il ruolo dell’astronomia, della mitologia e di Pitagora nella pianificazione urbana di Neapolis. Società dei Naturalisti in Napoli. 204 pp.
  3. Montinaro A., 2015. La tradizione del De medicina equorum di Giordano Ruffo. Con un censimento dei testimoni manoscritti e a stampa. Ledizioni Ledi Publishing, Milano. 276 pp.