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Millesimi di nanogrammo e sicurezza alimentare

di Giovanni Ballarini (Prof. Em. Università degli Studi di Parma)

Nella seconda metà del secolo passato si diceva che “è il chimico che fa il contaminante”, ovvero la presenza di quest’ultimo in un alimento dipende dalla sensibilità del metodo usato per rilevarlo. Al tempo stesso valeva e continua a valere l’antico e saggio principio che “è la dose che fa il veleno”.

Oggi in un periodo di fake news e di un dilagante scandalismo si sono (volutamente?) dimenticati i due principi e di fronte al continuo progresso nei metodi di analisi che con precisione rilevano quantità sempre minori di molecole si sollevano inutili dubbi sulla purezza degli alimenti e soprattutto si accendendo pericolose paure. Recentemente con i più sofisticati metodi di analisi si trova tutto e dappertutto in quantità che non sono più di milligrammi per chilogrammo di alimento, ma microgrammi (miliardesimo per chi-logrammo) e nanogrammi (miliardesimo per grammo) e millesimi di nanogrammo e loro ulteriori frazioni fino ad arrivare con il metodo di analisi denominato UHPLC-Q-Orbitrap HRMS system a qualche millesimo di nanogrammo per grammo o millilitro di alimento.

Nel latte di mucca ad esempio con questi metodi si è trovata la presenza di infinitesime quantità di micotossine e soprattutto di insospettate sostanze attive (antinfiammatori, cortisonici, anti-biotici ecc.) (Izzo L. et al., Journal of Dairy Science 2020). La presenza di residui di farmaci nel latte, come in altri alimenti di origine animale, può essere la conseguenza di trattamenti degli animali e per questo vi sono adeguate nor-mative e sono eseguiti controlli per determinarne la presenza in quantità tali da poter costi-tuire un rischio per la salute pubblica. Il Piano Nazionale Residui del MINSAN nel re-port 2018 dei 26.377 campioni di latte e carne analizzati 26 sono risultati essere non conformi (0.1%).

Negli alimenti inoltre quando si parla di assenza di molecole bioattive o Residuo Zero non s’in-tende la sua totale assenza ma la non rilevabilità strumentale o la sua presenza sotto il Limite Massimo di Residui (LMR) che sulla base delle attuali conoscenze è consi-derato non a rischio. Per questo il Regolamento (UE) n°37/2010 fornisce un elenco della massima concentrazione ammessa del residuo di ogni sostanza attiva pre-sente in un alimento e se l’analisi rileva una concentrazione di una sostanza bioattiva (un contaminante chimico, un farmaco o un agrofarmaco) al di sotto dell’LMR indicato da questo regolamento, l’alimento è considerato sicuro e utilizzabile per l’alimentazione umana.

Tracce infinitesime di mole-cole e farmaci nel latte, e che potrebbero essere rilevate anche in altri alimenti di origine animale (carni), sembrano avere origine dalle acque dove sono presenti molecole bioattive contaminate dalle deiezioni delle popolazioni umane che fanno largo uso di farmaci. E negli ultimi tempi si è do-cumentato il coinvolgimento non solo delle acque superficiali, ma anche di fiumi e falde. Per il latte inoltre non si deve dimenticare che una mucca produce oltre trenta litri di latte ogni giorno, beve più di centoventi litri di acqua e mangia circa ventiquattro chilogrammi di alimenti che sono stati prodotti con migliaia di litri di acqua che contie-ne tracce di molecole bioattive che l’animale a sua volta elimina attraverso il latte.

La presenza di molecole bioattive nelle acque deve essere oggetto di approfondite ricerche ma non bisogna dimenticare che millesimi di nanogrammo non sono pericolosi. Altrettanto importante è una corretta comunicazione dei risultati delle ricerche scientifiche evitando soprattutto il sempre più diffuso scandalismo alimentare di un giornalismo d’inchiesta che cerca il sensazionalismo attraverso i titoli e gli occhielli e in generale usando parole capaci di generare allarmismo, al fine di screditare il metodo scientifico e di promuovere una sempre più diffusa e dannosa cultura antiscientifica piena di leggende metropolitane.


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